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Mozione del comitato direttivo sull’aggravamento della crisi in Italia

MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO – SEZIONE DI TRAPANI

Mozione del comitato direttivo sull’aggravamento della crisi in Italia

Il Comitato direttivo della sezione di Trapani del Movimento Federalista Europeo,

preso atto della situazione complessivamente venutasi a creare in tutta l’Eurozona per effetto della crisi economica cui l’Europa comunitaria non è stata in grado, allo stato, di porre efficaci rimedi;

che negli Stati più deboli dell’Unione tale crisi ha già causato rilevanti contraccolpi di carattere sociale, con ricadute impressionanti sul tenore di vita delle popolazioni coinvolte;

considerato altresì che in tali Paesi – e particolarmente in Italia – la crisi sta ormai acquisendo un allarmante carattere politico, che pare perfino mettere a rischio le stesse istituzioni;

fa presente

che la crisi apertasi nel 2008 nell’Eurozona si è ormai sensibilmente aggravata, trasformandosi, specialmente in Italia, da finanziaria ed economica in sociale e politica, e mostrando una classe politica nazionale confusa e frastornata, priva di una idea-guida forte, in grado di far uscire il Paese dalle secche in cui l’Europa è precipitata con il blocco dell’economia, ma anche divisa fra opposti populismi e tecnicismi di bassa politica, come si è visto per ultimo dalla vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica;

considera

al riguardo assai deleterio che l’Italia, a due mesi dalle ultime elezioni nazionali, si stia distinguendo in negativo fra i Paesi membri dell’Unione europea per la sua assoluta incapacità di darsi in tempi brevi un governo adeguato ed autorevole, che pur nel risanamento dell’economia possa fronteggiare all’interno le gravissime urgenze sociali e richiedere con forza e determinazione nell’ambito delle istituzioni comunitarie un decisivo salto di qualità per la ripresa dell’economia europea e il varo di un grande piano di sviluppo finalizzato alla costruzione di un’Europa politica;

rileva

infatti che la principale causa della crisi che ha colpito l’Eurozona sta nella mancata istituzione, accanto alla moneta unica, di un governo economico europeo controllato dal Parlamento europeo ma rigorosamente autonomo dai governi nazionali, vale a dire nel mancato completamento dell’unione politica europea in forma federale;

che conseguentemente lungi dal perseguire sciagurati progetti di rigetto della moneta unica occorra procedere da subito al rilancio del processo costituente europeo mediante la messa in campo dell’unione bancaria e fiscale sino alla creazione di una Federazione dell’Eurozona, in una prima fase limitata quindi agli aspetti economici e monetari;

sottolinea

che a fronte di una situazione ogni giorno sempre più drammatica per la Sicilia e per i giovani la stessa classe politica isolana appare in buona sostanza abbastanza inerte e nonostante taluni buoni propositi ancora attardata nei modi usuali di gestione anche clientelare della cosa pubblica, mentre appare sempre più necessario contribuire invece ad individuare e proporre soluzioni da discutere insieme con la società civile alla luce del progetto di una Sicilia europea pienamente integrata in una Federazione europea protesa verso i Paesi della sponda sud del Mediterraneo;

impegna

in tale prospettiva la Sezione MFE di Trapani per la costituzione di un Comitato per l’Europa federale che operando anche a livello provinciale sia punto di incontro, dibattito ed iniziativa fra partiti politici, sindacati ed altre organizzazioni della società civile trapanese allo scopo di far emergere dal basso richieste e proposte per il superamento della crisi nella prospettiva non più eludibile della costruzione della Federazione europea a cominciare dall’Eurozona.

Trapani, 20 aprile 2013

IL COMITATO DIRETTIVO DELLA SEZIONE MFE DI TRAPANI

Anno 2018: nasce la Federazione europea

Instant paper contenente articoli ed interviste di: Jean Quatremer, Viviane Reding, Jacques Delors e Henrik Enderlein

Prefazione di Rodolfo Gargano

Trapani, dicembre 2012

Prefazione

Questo breve instant paper dell’Istituto “Mario Albertini”, che raggruppa tre scritti in francese di note personalità dell’ambiente comunitario (la traduzione è stata qui curata da Adriana Giustolisi, militante della Sezione di Trapani del Movimento Federalista Europeo) nasce sull’onda delle aspettative per la seduta del Consiglio Europeo di metà dicembre 2012, per più versi apparsa destinata a segnare una svolta decisiva al processo di integrazione europea, incagliatosi sugli scogli di una gravissima crisi che in breve si è fatta da finanziaria ad economica e sociale, coinvolgendo ormai in maniera drammatica la vita futura della moneta unica e lo stesso progetto d’unità politica dell’Europa.

In effetti, i due primi articoli che riportiamo in questa sede – tratti dal periodico francese Libération – rispettivamente del 2 e del 13 dicembre, mettono a fuoco quella che ai più sembra ormai la concreta prospettiva di uno sbocco federale del processo, che nella sostanza è francamente ammesso dalle principali istituzioni comunitarie. Per la prima volta, cioè, Bruxelles arriva ad ipotizzare una vera e propria “federazione” che, seppur limitata al solo settore economicofinanziario, rappresenta tuttavia, senza alcun dubbio, un salto di qualità nella faticosa costruzione dell’unità europea ed un reale avvicinamento alle istanze federaliste da parte dei fautori di un approccio comunitario al minimo livello. Tale scelta appare invero ben netta sia nel primo articolo, di Jean Quatremer, che nel secondo contributo qui riportato, l’intervista alla commissaria Viviane Reding: l’impressione complessiva è che anche Jacques Delors e Henrik Enderlein (coautori del terzo articolo) – i quali preferiscono attestarsi su un piano più strettamente tecnico-economico – abbiano deciso per un’opzione meno “politicamente” esposta, e da essi definita diplomaticamente pragmatica e minimalista, soprattutto per motivi di opportunità politica, in particolare per superare le note resistenze francesi ad una qualsivoglia cessione di sovranità. Per aver comunque un quadro più completo dell’attuale momento politico europeo, di là dai retroscena da Bruxelles, appare opportuno non tralasciare né l’ultima intervista che Jürgen Habermas ha rilasciato a Donatella Di Cesare su Micromega del 19 novembre scorso, per il quale è proprio dalla crisi economica che può nascere l’Europa politica, né il testo di riferimento di Alberto Majocchi sulle Linee guida di un piano di sviluppo sostenibile per l’economia europea redatto lo scorso giugno per il Centro Studi sul Federalismo di Moncalieri (www.cs.federalismo.it), e secondo cui il punto decisivo resta quello politico di trasferire un potere limitato ma reale al livello europeo di governo. Com’è purtroppo ormai noto, il Consiglio non ha poi ritenuto di prendere in considerazione, almeno in questo momento, il blueprint per il consolidamento dell’Unione economica e monetaria che la Commissione aveva redatto proprio in vista di tale seduta, né il più ampio Rapporto sullo stesso argomento dei quattro presidenti delle Istituzioni europee più significative (quelle del c. d. “triangolo istituzionale” e della Banca Centrale), ma è un fatto che le problematiche nascenti dalla tormentata vicenda dell’unione monetaria ai più attenti osservatori si presentano oggi strettamente correlate all’avanzamento in senso federale della struttura dell’Unione Europea. Si potrebbe addirittura affermare che il principio della necessità di un governo economico europeo e di una federazione (sia pur definita talora “leggera”) sembra sia finalmente entrato a far parte a pieno titolo dell’agenda politica europea, volenti o nolenti i governi nazionali. È in questo senso che i prossimi mesi saranno decisivi in Europa, e segnati – più che dal rinnovo del parlamento italiano – dalle elezioni del Bundestag che avranno luogo nel settembre del 2013 e dalle elezioni del giugno successivo del Parlamento Europeo. Forse, un nodo cruciale della storia si avvicina per il nostro continente, e starà anche ai federalisti di Altiero Spinelli, in una qualche maniera, saperlo cogliere positivamente per un futuro migliore non solo dell’Europa.

Trapani, 15 dicembre 2012

Rodolfo Gargano

RETROSCENA DA BRUXELLES:

2018, NASCE LA FEDERAZIONE DELL’EUROZONA

di Jean Quatremer

Bruxelles, 2 dicembre 2012. – Un incrocio tra gli Stati Uniti e la Repubblica federale tedesca, ecco a che cosa dovrebbe somigliare la futura federazione della zona euro secondo la Commissione europea.

Anche se l’esecutivo europeo si guarda bene dal pronunciare la parola “federazione” (si preferisce la più mediatica espressione “unione economica e monetaria vera ed approfondita”…), è certamente un salto federale quello che essa propone di far fare agli Stati membri in una “comunicazione” di 55 pagine resa pubblica mercoledì. Un documento particolarmente ambizioso che mette fine alla solita prudenza di José Manuel Durao Barroso: egli non ha esitato a battagliare per più di cinque ore per fare adottare questo testo dal collegio dei 27 commissari.

Il presidente dell’esecutivo europeo si mette così in posizione di pesare sul prossimo Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo del 13 e 14 dicembre prossimo che deve adottare una road map che stabilisca le tappe che conducano all’unione politica della zona euro: egli teme, in effetti, che i governi approfittino della calma che regna sui mercati per rinviare a miglior tempo una integrazione, certamente dolorosa [per gli Stati] in fatto di trasferimenti di sovranità, ma assolutamente necessaria. “Il documento della Commissione, particolarmente ambizioso, è perfettamente compatibile con la nostra tabella di marcia”, si risponde compiaciuti tra i più stretti collaboratori di Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio europeo, che aggiunge l’ultimo tocco a questo documento, redatto in collaborazione con Jean-Claude Juncker, il Presidente dell’Eurogruppo, Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea e Barroso. “La differenza è che egli entra in dettagli che noi non affronteremo, perché potrebbero irritare qualcuno”. L’idea centrale dell’esecutivo europeo è di giungere in cinque anni ( al più presto, perché bisognerà modificare i trattati europei) alla messa in funzione di un “bilancio centrale significativo” della zona euro, che permetterebbe di far fronte a degli shock “asimmetrici” (cioè che riguardano alcuni soltanto degli Stati membri) o agli shock comuni alla zona euro.

La Commissione stima che esso potrebbe servire a mettere in atto delle politiche controcicliche a breve termine, “come per esempio avviene nel sistema americano dei sussidi di disoccupazione, in cui un fondo federale rimborsa il 50% dei sussidi eccedenti la durata standard fino a concorrenza di un massimo dato, con riserva che la disoccupazione abbia raggiunto un certo livello e continui ad aumentare”. Non si tratta, pertanto, di mettere in atto dei ”trasferimenti permanenti” di risorse, poiché ciò avrebbe degli effetti perversi incoraggiando l’irresponsabilità dei governi. Questo bilancio verrebbe alimentato da risorse proprie che non dipendono dagli Stati (come la tassa sulle transazioni finanziarie o la carbon tax). Ancor meglio: esso potrebbe fare ricorso al prestito, questo infatti sarebbe possibile con l’istituzione di un “Tesoro europeo”. Per la Commissione, solo questo “debito federale”sarebbe politicamente accettabile a differenza della mutualizzazione dei debiti nazionali. In effetti questa seconda opzione porrebbe un problema democratico: per esempio, perché la Francia sarebbe responsabile delle spese italiane quando non le ha votate? Si immagina un voto comune da parte dei Parlamenti nazionali di tutti i bilanci nazionali? Impossibile, evidentemente. D’altronde, nessuna federazione funziona così. Nello schema federale accettato dalla Commissione, la questione democratica può essere risolta senza difficoltà: il voto sulle risorse di bilancio e il ricorso al prestito verrebbero proposte dall’esecutivo e votati da Parlamento europeo e Consiglio dei ministri della zona euro.

La zona euro somiglierebbe, da questo punto di vista, agli Stati Uniti. Ma nel sistema istituzionale americano, dalla fine del XIX secolo, ogni Stato federato resta responsabile del suo bilancio e può fallire senza che lo Stato federale intervenga. La Commissione ritiene che la zona euro, che non è sufficientemente integrata da un punto di vista politico, non possa arrivare fin qui: un fallimento rischierebbe, in effetti, di spingere lo Stato che ne è vittima ad abbandonare la zona euro al fine di risanarsi con la svalutazione (anche se gli effetti benefici di una tale uscita restano da dimostrare) o i mercati a speculare su una tale uscita, come oggi avviene con la Grecia. Essa propone dunque di assicurare gli Stati contro un eventuale fallimento in cambio di un controllo rinforzato sui bilanci nazionali al fine di migliorare la convergenza e, in ogni caso, di evitare delle divergenze che potrebbero risultare fatali: di fatto, sarebbe il sistema attuale, approntato nell’urgenza della crisi, che sarebbe istituzionalizzato.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) verrebbe pertanto “comunitarizzato” al fine di accordargli più spessore (decisione a maggioranza qualificata e non più all’unanimità). Perché un salto federale? La crisi della zona euro ha dimostrato che c’era una vera e propria incompatibilità tra una moneta unica e le politiche economiche e di bilancio sovrane. Non è in verità una sorpresa: fin dal 1991, al tempo del negoziato del trattato di Maastricht, gli Stati lo sapevano perfettamente. Ma siccome era troppo presto per proporre un vero salto federale, essi hanno rinviato ai loro successori la cura di perfezionare l’Unione economica e monetaria scommettendo sul fatto che l’entrata in vigore dell’euro avrebbe costituito uno shock sufficiente per spingerli ad accettare i trasferimenti di sovranità necessari. Ha avuto luogo esattamente il contrario: protetti dall’ombrello dell’euro che sembrava di cemento armato, il “ciascun per sé” è divenuto la regola… fino alla crisi del debito sovrano che è scoppiato nel 2010.

La Commissione e l’Eurogruppo (dove siedono i ministri delle finanze della zona euro) potrebbero, in contropartita, esigere la modifica dei bilanci nazionali che si allontanano dagli obblighi di disciplina di bilancio e addirittura porre un veto, il tutto sotto il controllo della Corte di giustizia europea. Si tratta di una vecchia idea francese: nel 1990, in un progetto di trattato preparato da Bercy, questa possibilità era stata prevista. Ma la Germania ritenne allora che ciò avrebbe posto una questione di democrazia. Non è più questo, ora, il problema, soprattutto da quando si è deciso di sostenere finanziariamente gli Stati in difficoltà. Una tale interdipendenza implicherà di coordinare le politiche economiche comprendendovi gli aspetti fiscali e sociali, finora esclusi dal campo comunitario. Così, tutte le riforme economiche “di grande apertura” verrebbero adottate in comune. La Commissione sottolinea, ed è una importante svolta politica, che bisognerà vigilare affinché la disciplina di bilancio non scoraggi gli investimenti e precisamente gli investimenti pubblici. Per fare ciò, in caso di una congiuntura negativa, saranno tollerati gli scostamenti in materia di deficit. Sempre per rafforzare la convergenza e saldare il passato, la Commissione vuole istituire un “fondo di ammortamento del debito”, così come proposto dal consiglio dei saggi composto di economisti tedeschi . L’idea è di mutualizzare i debiti nazionali che superino il 60% del PIL al fine di garantire il finanziamento del debito eccessivo ad un costo sostenibile e, così, permettere agli Stati, riducendo il loro livello di indebitamento, di investire e di rilanciare la loro crescita a lungo termine. Per evitare i problemi di tesoreria che incontrano gli Stati in difficoltà finanziaria , la zona euro potrebbe anche mutualizzare il suo mercato con titoli di credito a breve termine (uno o due anni) perevitare di alimentare la spirale dell’indebitamento. Non si tratterebbe di aumentare il livello di indebitamento, di permettere agli Stati di finanziarsi a tassi bassi. Come per i fondi di ammortamento, questi titoli (eurobills) sarebbero sottoposti ad alcune severe condizioni, e cioè, che gli Stati che ne beneficiano, debbano sottoscrivere un programma di riforme strutturali. Questo insieme verrebbe completato da una unione bancaria totale ( ivi compresa una garanzia comune dei depositi bancari) e una rappresentanza unica della zona euro nelle istituzioni internazionali. Prima di arrivarne ad una integrazione così forte, che implicherà una profonda riforma dei trattati europei, la commissione propone una serie di tappe intermedie “a trattati invariati”. Così, la capacità di bilancio della zona euro potrebbe essere realizzata progressivamente e verrebbe utilizzata, in un primo momento, per aiutare gli Stati che procedessero a delle riforme strutturali importanti per rimettersi a galla. Questi, per beneficiare dell’aiuto europeo, firmerebbero dei veri “contratti”. Allo stesso modo, gli aiuti regionali (fondi strutturali) non potrebbero più essere utilizzati se non per finanziare progetti che favoriscano la crescita. Un ennesimo fiasco nella comunicazione.

Ancora una volta, la Commissione ha brillato per la sua incapacità di comunicare. Certamente, questo importante progetto è stato annunciato venerdì scorso, ma in pieno vertice europeo, sulle prospettive finanziarie 2014-2020. Non avendo i giornalisti il dono dell’ubiquità, questo annuncio è largamente passato inosservato: tanto più che la Commissione non ha cercato di diffondere il suo documento affinché i media potessero giudicare della sua importanza e preparare degli articoli di conseguenza. Io stesso ho parlato con alcuni portavoce della Commissione al momento del vertice europeo e non me ne hanno fatto parola (stile:” Jean, fai una gaffe, la settimana prossima, esce un “mega trucco” rivoluzionario). Peggio: la conferenza stampa di Barroso ha avuto luogo mercoledì alla ore 16, in un’ora in cui i giornali non potevano più modificare le pagine, salvo che in presenzadi un avvenimento più grande, e mai lo sarà un documento della Commissione… Inoltre, a meno di essere un genio, era impossibile leggere in qualche minuto 55 pagine particolarmente complesse, analizzarle e scrivere un commento che non fosse intellegibile. Risultato: la stampa ha osservato un pietoso silenzio su quel documento. Al massimo, qualche breve articolo l’indomani e alcuni dispacci puramente fattuali. In altre parole, questo documento è caduto in un buco nero mediatico quando meritava infinitamente di più. A questo livello di incompetenza, questo diventa arte. Unico elemento positivo: questa comunicato è stato immediatamente disponibile in tedesco e in francese oltre l’inevitabile inglese. Anche se è vero che non sono gli anglofoni quelli da convincere…Questo documento è accettabile da tutti gli Stati? “Si sente in questo testo la mano della Germania”, dice un diplomatico europeo: questa non ha, in effetti, mai nascosto che auspicava, come prezzo della sua solidarietà finanziaria, realizzare una “stretta” massima sulle politiche di bilancio nazionali. Allo stesso modo il governo tedesco, se rifiuta ogni mutualizzazione dei debiti nazionali, pare opporsi molto meno alla creazione di un “debito federale”. In più, il documento della Commissione è compatibile con “l’integrazione solidale”che raccomanda François Hollande: per il capo dello Stato, ogni modifica dei trattati deve essere giustificata da un aumento della solidarietà. L’esecutivo europeo non dice altro: “la via da seguire deve essere accuratamente equilibrata. Conviene combinare le misure di rafforzamento delle responsabilità e della disciplina economica con una più grande solidarietà e un più grande sostegno finanziario” e “ assicurare la legittimità democratica e l’obbligo di rendiconto”. E per non disturbare nessuno, la Commissione non affronta di petto la questione istituzionale. poiché la logica vorrebbe che la zona euro disponga delle sue proprie istituzioni oppure che i commissari e i deputati europei non membri della zona euro siano privati del loro diritto di voto su tutte le questioni riguardanti la gestione della moneta unica. È immaginabile che un commissario britannico, svedese o danese si pronunci sui bilanci nazionali della zona euro? È concepibile che dei deputati europei non membri della zona euro votino su delle misure che non li riguardano,come l’emissione di euro-obbligazioni? Evidentemente no. In un quadro giuridico particolarmente oscuro, essa evoca la possibilità che le decisioni siano riservate solamente ai Diciassette, restando “aperte” agli Stati che hanno la vocazione a raggiungere l’euro… Un fronte che bisognerà un giorno o l’altro aprire, la Commissione lo sa : ”ma ci vorrà un asse franco-tedesco determinato per fare cessare il ricatto permanente del Regno Unito, cosa per nulla acquisita visto ciò che è successo la settimana scorsa al momento dei negoziati di bilancio”, suggerisce tuttavia un alto funzionario europeo.

(traduzione di Adriana Giustolisi)

UN’EUROPA FEDERALE COL CONSENSO DEI CITTADINI

Un’intervista del 13 dicembre 2012 di Libération alla lussemburghese Viviane Reding, 61 anni, del partito cristiano sociale, conosciuta per il suo fervente impegno europeo nonché per la sua abitudine a parlare francamente. Viviane Reding è vice presidente della Commissione europea e Commissario alla Giustizia, ai Diritti dell’uomo e alla Cittadinanza. La road map per una “Unione economica e monetaria vera ed approfondita” proposta 15 giorni fa dalla Commissione, mira a creare una federazione della zona euro? È un progetto sull’unione economica e monetaria, e non su una federazione europea. Questo blueprint, come si dice nel nostro gergo, evoca tutto ciò che è legato alla nostra moneta, ed unicamente questo. Non si riferisce, per esempio, alla difesa o alla giustizia. La crisi della zona euro ha dimostrato che non si poteva avere una politica monetaria federale, diciassette politiche economiche e di bilancio sovrane e nessuna solidarietà finanziaria tra gli Stati membri. La nostra tabella di marcia propone pertanto, in un primo tempo, di fare tutto quello che può essere fatto senza avventurarsi in una riforma dei trattati europei. Cioè, possiamo dire, non soltanto di rafforzare un poco la gestione comune dei nostri bilanci nazionali, ma anche di creare una “capacità di bilancio” propria alla zona euro per potere aiutare i paesi in difficoltà a condurre a buon fine alcune riforme strutturali: anche se esse possono avere, in un primo tempo, un effetto recessivo. Ma, per andare più lontano, bisognerà riformare i trattati. Noi indichiamo quello che è auspicabile che si faccia, come la creazione di un vero bilancio della zona euro, di un fondo di ammortamento del vecchio debito o l’emissione di euro-obbligazioni. Il sentiero è tracciato: bisogna andare più lontano di quanto si sia fatto sino ad ora.

Verso una federazione? Pierre Werner, il vecchio Primo ministro lussemburghese che fu incaricato, nel 1970, di elaborare il primo progetto di una Unione economica e monetaria, prevedeva già, accanto ad una banca centrale indipendente, un governo economico europeo, dotato di un ministro delle Finanze controllato dal Parlamento europeo. Egli sapeva che una moneta senza Stato non poteva funzionare, ciò che questa crisi ha da poco dimostrato. Per questo bisogna andare più lontano e creare uno Stato federale europeo con l’accordo dei cittadini europei. Bisognerà preparare bene questo salto. Fin qui, i dirigenti europei elaboravano dei trattati a porte chiuse, poi annunciavano la loro decisione ai popoli – invitandoli ad essere d’accordo. Bisogna invertire la direzione, cioè cominciare con una discussione pubblica su quello che si vuole fare insieme, prima di negoziare i trattati. Poi, una volta presa la decisione, farla ratificare dai popoli con una domanda chiara. È questa la democrazia. Già, si avvertono i primi cambiamenti. Le prossime elezioni europee del giugno 2014 saranno fondamentali, poiché le diverse grandi famiglie politiche – il PPE (Partito popolare europeo, centro destra), il PSE (Partito socialista europeo), i liberali, i Verdi, ecc. – presenteranno ognuna un candidato per la presidenza della Commissione europea. Colui che arriverà primo sarà automaticamente nominato dai 27 capi di Stato e di governo come gli stessi governi si sono impegnati a fare. Per la prima volta, queste elezioni avranno una vera dimensione transeuropea e non saranno, come troppo spesso è accaduto finora, una sommatoria di scrutini dominati da giochi nazionali o peggio locali . Il dibattito federale sarà all’ordine del giorno al momento delle elezioni? Certamente. Dapprima perché una parte degli eletti del 2014 siederà con i rappresentanti dei Parlamenti nazionali, delle istituzioni comunitarie e dei governi in seno alla Convenzione, che sarà incaricata di modificare i trattati. Il principio di questa Convenzione dovrebbe essere discusso dal Consiglio europeo fin da oggi, anche se comincerà a lavorare dopo le europee. Come accadrà in seno al Parlamento europeo, vi si dovrà definire la natura della futura federazione e il modo di costruirla.

Le Europee del 2014 saranno delle vere costituenti? Il parlamento sarà effettivamente una sorta di assemblea costituente, poiché la campagna dovrà farsi su quello che sarà l’Unione del futuro, le prerogative che le saranno delegate, quelle che resteranno agli Stati o che saranno loro restituite. A che cosa rassomiglierebbe questa Europa federale? Alcune settimane fa, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha affermato molto chiaramente – e a ragione – che la Commissione dovrebbe diventare il governo dell’Unione e che il Parlamento europeo dovrebbe vedere i suoi poteri di nomina e di controllo rafforzati. Bisognerà decidere sul modo di elezione del presidente di questo governo europeo: sarà eletto dal Parlamento o direttamente dai cittadini? La Francia è uno dei rari paesi che elegge a suffragio universale un presidente della Repubblica dotato di veri poteri. Ma, a mio avviso, il capo del governo europeo dovrebbe essere eletto dal Parlamento europeo, che rappresenta tutti i cittadini dell’UE.

Analogamente, i commissari dovranno essere scelti tra gli eletti. Per ciò che riguarda il potere legislativo, bisognerà mettere in atto un sistema a due Camere – come in ogni federazione – con la Camera dei Cittadini da un lato e, dall’altro, quella degli Stati che assomiglierebbe all’incirca alla Camera tedesca dei Länder.

La riforma dei trattati sarà adottata per referendum? Una volta definito il progetto, verrà il momento per i cittadini di decidere se vogliono o no far parte di questa Europa politica integrata. Io non so che cosa diranno i Francesi, ma so che i Lussemburghesi diranno di sì. A mio avviso, è necessaria una decisione chiara di ogni Stato, con un sì o un no che sia impegnativo. E bisognerà bene spiegarlo, affinché i cittadini votino con cognizione di causa. Non è rischioso avventurarsi in un tale progetto in un momento in cui i cittadini dubitano dell’Europa? Dubitano perché non è stato mai spiegato loro correttamente che cos’è il progetto europeo.

Io organizzo dei dibattiti ovunque in Europa – l’ho già fatto a Cadice, a Graz, a Berlino, e sarò a Marsiglia nel novembre del 2013. Appare chiaro che i cittadini non vogliono un’Europa al ribasso. O noi andremo verso più Europa, o il progetto europeo rischia di frantumarsi. Dobbiamo da noi stessi comprendere dove vogliamo andare affinché i cittadini facciano la loro scelta. Non ci potrà essere alcun salto federale senza il loro accordo. I sondaggi dimostrano che una grande maggioranza si sente “europeo”. Ma quando si domanda loro quello che cosa vuol dire ciò, non sanno granché e rispondono con un “boh”: ora, vorrei che più nessuno o quasi risponda con un “boh”…

 (traduzione di Adriana Giustolisi)

ALCUNE PROPOSTE DI RIFORME PER L’EUROZONA

Jacques Delors – Henrik Enderlein1

Nell’unione monetaria europea, le sfide a lungo termine sono diventate le priorità del momento.

Dopo gli aiuti dati sotto la spinta dell’urgenza, ancorché condizionati ad alcune riforme, la questione della struttura della zona euro è infine passata in primo piano. Ora però ci si pone un’altra domanda: fino a che punto esattamente l’unione politica, l’unione di bilancio e un approccio solidale sono necessari per garantire il successo della moneta comune?

Questa crisi non è una crisi dell’euro. La moneta non ne è all’origine. Questa crisi deriva da incertezze e contrasti sulla politica economica da seguire per fare coesistere una moneta unica e diversi sistemi economici nazionali. Ora, per farli scomparire, sono possibili due opzioni: o l’Europa ritorna a diverse monete, cosa che minaccia l’avvenire del mercato unico europeo e con esso il futuro del progetto comune di integrazione politica, o l’Europa riesce a combinare sufficientemente i diversi sistemi economici in maniera da far meglio funzionare l’euro come moneta unica. Spesso, questa seconda opzione è confusa con il desiderio di un “Super Stato” europeo. Non è lo scopo cui dovremmo tendere. Si tratta piuttosto di domandarsi in concreto quali misure supplementari verso l’integrazione debbano essere prese affinché l’euro possa funzionare correttamente.

È esattamente a questa domanda che vuole rispondere un rapporto da poco apparso in tedesco e già disponibile in inglese e francese. Intitolato “completare l’euro” , è stato elaborato da un gruppo al quale noi apparteniamo, il ”gruppo Tommaso Padoa-Schioppa”, dal nome di uno dei precursori dell’unione monetaria. Noi non raccomandiamo una soluzione massimalista per vincere la crisi dell’euro. Se vogliamo assicurarci una larga accettazione delle prossime tappe dell’integrazione, il pragmatismo politico impone piuttosto la soluzione minimalista: bisogna aggiungere quel tanto di Europa che è necessario per rispondere all’urgenza, ma il meno possibile.

La prima sfida risiede nella tensione tra un elemento chiave dell’integrazione europea – il mercato interno – e le forti divergenze strutturali in seno all’Europa. Il mercato interno non è compatibile con le fluttuazioni dei tassi di cambio, poiché è allora sempre possibile ritrovare dei vantaggi a breve termine procedendo a svalutazioni competitive. Così, il progetto di una moneta comune è stata la risposta logica al mercato interno. Sfortunatamente, il primo decennio dell’unione monetaria ha con chiarezza dimostrato che la moneta comune, contrariamente all’ipotesi originaria, non ha condotto al rafforzamento della convergenza tra i paesi. La differenza fra prezzi all’interno della zona euro si è approfondita e non ridotta. Di conseguenza, i tassi di cambio fissati dalla Banca centrale europea alla fine non sono risultati accettabili a nessun paese. Questi tassi hanno avuto degli effetti nocivi e persino pro-ciclici, e per di più con tendenza ad auto-rafforzarsi per la maggior parte degli Stati membri. Tale situazione ha condotto a divergenze cicliche e squilibri eccessivi in seno alla zona euro, per cui la BCE ha dovuto mettere in opera una politica comune per uno Stato che non esiste. Per risolvere questa sfida, bisogna dapprima conseguire il completamento del mercato interno. Una zona commerciale totalmente integrata è necessaria per far funzionare una politica monetaria1 Jacques Delors, già presidente della Commissione Europea, è presidente fondatore di Notre Europe – Institut Jacques Delors, mentre Henrik Enderlein è professore di economia politica alla Hertie School of Governance e attualmente professore “Pierre Keller” alla Harvard Kennedy School, ricercatore associato a Notre Europe – Institut Jacques Delors e coordinatore del rapporto del Gruppo “Padoa-Schioppa” Parachever l’euro – Feuille de route vers une union budgétaire en Europe. Il Rapporto è disponibile in inglese, francese e tedesco sul sito di Notre Europe (www.notre-europe.eu) sul quale in data 14 dicembre 2012 è stato pubblicata la presente nota che ispirandosi ad un articolo apparso sul quotidiano “Die Zeit” ne esplicita ampiamente le conclusioni. comune più efficace ed evitare ogni inizio di divergenza ciclica. Non solamente il settore dei servizi è sempre ancorato all’80% nell’ambito nazionale, ma la mobilità delle persone al di là delle frontiere deve ugualmente fare i conti con ostacoli: i diritti al pensionamento non sono per esempio che difficilmente trasferibili da un paese all’altro.

In parallelo con tali misure di rafforzamento del mercato interno, è necessario compensare una parte delle disparità congiunturali all’interno della zona euro. Negli Stati Uniti o anche in Germania questo è stato effettuato in comune per il tramite di un sistema fiscale o di un’assicurazione contro la disoccupazione. Questi avanzamenti possono apparire di buon auspicio a degli europei convinti, ma non sono assolutamente urgenti. Nel nostro rapporto, proponiamo un fondo di stabilizzazione che mira a lottare contro le fluttuazioni cicliche eccessive. I paesi in pieno sviluppo contribuiscono a questo fondo mentre quelli in recessione ne beneficiano. In un tale sistema, sul lungo termine, i trasferimenti di risorse non si effettuano a senso unico. Se questo istituto fosse esistito nell’ultimo decennio, la Germania sarebbe stata beneficiaria sin dall’inizio negli anni di rallentamento della sua crescita. Durante il loro periodo di boom, l’Irlanda e la Spagna avrebbero contribuito al Fondo ed impedito l’improvvisa forte avanzata delle loro economie nazionali. Oggi, la situazione si sarebbe capovolta. Un tale sistema ridurrebbe le divergenze cicliche nella zona euro e favorirebbe così una migliore efficacia della politica monetaria della BCE.

La seconda sfida importante risiede nella tensione tra l’autonomia in materia di politica di bilancio e il coordinamento in seno all’unione monetaria. Fin dove giunge il potere degli Stati nazionali a decidere della propria politica di bilancio se tutti gli altri Stati sono ugualmente interessati da queste decisioni all’interno della zona monetaria? Noi non sosteniamo un trasfert completo della politica finanziaria a livello europeo, ma un regime “ per eccezione”.

In tempi normali, ogni paese è autonomo nella determinazione della sua politica di bilancio, in conformità alle regole conosciute in materia di politica finanziaria della zona euro. Nondimeno, se l’indebitamento di un paese diventa incontrollabile, un altro meccanismo deve essere utilizzato. In tali casi, il rapporto raccomanda che, in un’unione monetaria, la sovranità si arresta ogni qual volta [lo Stato nazionale] non ha più solvibilità. In pratica, ciò significa che quando uno Stato non ha più accesso al mercato finanziario, esso trasferisce progressivamente all’Europa la sua sovranità in materia di politica di bilancio, in contropartita di aiuti finanziari: più la sua dipendenza finanziaria nei riguardi dell’Europa è significativa, più grandi saranno le possibilità d’azione dell’Europa. Noi proponiamo ugualmente la creazione di un’Agenzia europea del debito (AED). Contrariamente al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), questo autorizzerebbe un abbandono progressivo di sovranità e, parallelamente, costituirebbe un incentivo ad una politica di bilancio responsabile.

L’Agenzia verrebbe garantita a livello comunitario ed emetterebbe delle obbligazioni comuni in proporzioni perfettamente misurabili. Noi parliamo di un finanziamento del 10% del PIL di ogni paese della zona euro. Così, la Germania potrebbe continuare a conservare più dell’80% dei suoi debiti pubblici sotto forma di obbligazioni di Stato. Allo stesso tempo, il mercato delle obbligazioni europee diverrebbe molto più liquido. Il vantaggio dell’AED sarebbe che uno Stato che non avesse più accesso al mercato finanziario a breve termine potrebbe ottenere rapidamente e in modo flessibile un finanziamento attraverso obbligazioni europee. In contropartita, questo dovrebbe accettare un trasferimento progressivo della sua sovranità. In casi estremi, i paesi il cui debito avrebbe superato il 60% del loro PIL, come stipulato a giusto titolo dal trattato di Maastricht, non potrebbero adottare il loro bilancio se non dopo l’assenso di questa Agenzia. È vero però che un tale processo necessita di un forte ancoraggio democratico, e per tale motivo noi siamo dell’avviso che debba assicurarsi il controllo parlamentare dell’Agenzia mediante l’istituzione di una commissione mista che riunisca rappresentanti dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo. Ci sembra importante migliorare le relazioni tra responsabilità comunitaria, sovranità condivisa e controllo democratico. Le nostre proposte, che sono da considerare come un complemento dell’attuazione dell’unione bancaria di cui oggi si discute, potrebbero costituire la base di un compromesso politico tra quelli che non vogliono responsabilità comunitaria e quelli che non vogliono trasferimento di sovranità. Per noi, queste proposte costituiscono un “federalismo per eccezione”. La responsabilità comunitaria non è la regola, ma una eccezione in contropartita di un abbandono di sovranità.

L’euro ha sempre avuto delle motivazioni politiche. La moneta comune si fonda sulla convinzione che il commercio genera più ricchezze e più scambi tra i paesi che vi partecipano. Pertanto, è vitale ed urgente consolidare l’Unione economica e monetaria, con delle riforme ad effetto rapido ed un compromesso politico sulla sovranità condivisa nella zona euro.

(traduzione di Adriana Giustolisi)

I Federalisti e la crisi italiana

I FEDERALISTI E LA CRISI ITALIANA

L’Italia sta attraversando una fase di crisi estremamente grave in cui è in pericolo la tenuta dello stato democratico e, quindi, l’attiva partecipazione del paese al processo di unificazione europea. Il MFE deve prendere una posizione chiara e articolata su questa situazione se vuole essere una componente attiva e riconosciuta del dibattito politico italiano. Deve pertanto non solo sforzarsi di fornire una analisi convincente, ma anche presentare delle proposte concrete per quanto riguarda la risposta politica alla crisi italiana. In questa prospettiva propongo alcune considerazioni orientative.

1. L’Italia in pericolo

Deve essere anzitutto chiara la gravità della crisi italiana e, al riguardo, tre mi sembrano gli aspetti fondamentali che vanno evidenziati.

– E’ in grave pericolo la coesione economico-sociale del paese.

Nel contesto generale della globalizzazione senza regole e in quello particolare della crisi finanziaria ed economica mondiale, che ne rappresenta una delle principali conseguenze, si stanno producendo in Italia fenomeni di disoccupazione, precarizzazione, esclusione sociale, povertà, peggioramento della situazione degli immigrati, arretramento di gran parte del Meridione, il cui livello apre la strada a tensioni disgregatrici del sistema economico-sociale.

La drammaticità della situazione emerge con chiarezza se si tiene presente il dilemma fondamentale di fronte a cui si trova la classe politica. Da una parte, occorre mobilitare grandiose risorse finanziarie per realizzare una generale garanzia dei redditi, la lotta all’emarginazione (che comprende una seria politica di integrazione degli immigrati), una più efficace solidarietà interregionale. Dall’altra parte, non solo non deve aumentare il debito pubblico, ma si deve perseguire una sua costante e celere riduzione, se si vuole evitare lo sbocco in una catastrofica situazione di insolvibilità dello stato. Ciò comporta un impegno di dimensioni inaudite nella lotta contro gli sprechi, le inefficienze, i parassitismi, l’evasione fiscale, l’economia illegale. L’interrogativo è la capacità di risposta del sistema politico italiano a questa sfida esistenziale.

– E’ in grave pericolo l’unità dello stato

Lo stato italiano ha una struttura debole a confronto con i partner europei più avanzati a causa della sottrazione – dovuta a una presenza mafiosa che nell’attuale situazione tende a rafforzarsi – di ampie zone del paese al controllo dello stato. E questa situazione è destinata a peggiorare ulteriormente se, per la mancanza di una forte politica d’integrazione degli immigrati, si formeranno ghetti etnici nelle grandi città. Alla strutturale debolezza dello stato italiano si aggiungono ora – a partire dalla parte settentrionale del paese e con iniziali ma significative manifestazioni nella parte meridionale – forti tendenze micronazionaliste con preoccupanti vocazioni secessioniste, che mettono apertamente in discussione il mantenimento dell’unità statale. A questo riguardo devono essere chiari due punti.

Le riforme in senso federale delle istituzioni pubbliche italiane, che costituiscono un tema fondamentale nell’attuale dibattito e confronto politico nel nostro paese, vanno considerate un fattore decisivo di rafforzamento del sistema democratico, di impulso all’efficienza amministrativa, di lotta ai parassitismi (soprattutto attraverso il principio della responsabilità fiscale: ogni livello di competenza e di spesa deve fondarsi essenzialmente su risorse proprie). Ma deve trattarsi di un federalismo qualificato da una strutturale solidarietà fra regioni forti e regioni deboli, sia sul piano economico-sociale (organizzata in modo non assistenziale), sia su quello della sicurezza (in particolare, lotta contro la delinquenza organizzata intesa e gestita come problema comune). Se mancano queste connotazioni e per di più è accompagnato da una forte presenza di comportamenti e retoriche di tipo micronazionalistico, il federalismo apre la strada alla disgregazione dell’unità statale.

Il secondo punto da sottolineare è che, proprio perché ci battiamo per la federazione europea nella prospettiva della federazione mondiale, dobbiamo essere chiaramente consapevoli – tanto più in un periodo in cui, mentre si preparano le celebrazioni del 150° anniversario dell’unificazione italiana, si alzano rumorose voci che la contestano in termini pratici e di principio – della validità politica dell’unità statale italiana, che una adeguata riorganizzazione in termini federali renderebbe più solida e democratica. In effetti la messa in discussione dell’unità statale italiana è destinata a produrre danni incalcolabili, oltre che al nostro paese (in cui si scatenerebbero conflitti catastrofici), allo stesso processo di unificazione europea. E ciò sia per le spinte disgregative che verrebbero favorite in altri paesi europei, sia per il fatto che la costruzione europea (che non è ancora compiuta e che dipende perciò ancora in modo determinante dalle decisioni dei governi nazionali) non può certo fondarsi su stati paralizzati dalle loro contraddizioni interne, o addirittura su stati falliti. Va anche sottolineata in questo contesto l’inconsistenza della tesi dell’Europa delle regioni, cioè di una federazione europea di cui sarebbero membri diretti centinaia di regioni. In una simile ipotetica situazione gli stati membri sarebbero pilastri troppo deboli per sorreggere un equilibrio federale e si imporrebbe perciò fatalmente una degenerazione centralistica. L’evoluzione più probabile di un’Europa di micronazionalismi a base regionale andrebbe però in direzione di una caotica convivenza entro una cornice che potrà al massimo essere costituita da una debole confederazione.

– E’ in una situazione critica il regime democratico italiano

Il governo guidato da Silvio Berlusconi manifesta tendenze populiste che si traducono in allarmanti scelte di orientamento illiberale-autoritario. A questo riguardo vanno sottolineati in particolare: il rifiuto di risolvere un conflitto di interessi che si traduce in modo specifico in una concentrazione di potere mediatico a disposizione del premier che non trova riscontro in nessuno stato liberaldemocratico; lo sforzo sistematico di limitare l’autonomia del potere giudiziario; le leggi ad personam; l’attacco alla stampa indipendente e al pluralismo politico-istituzionale. Vanno anche segnalate le pulsioni xenofobe che inquinano la linea del governo in relazione al problema cruciale dell’immigrazione e che sono in notevolissima parte un apporto della Lega Nord e del suo peso determinante nella coalizione maggioritaria.

C’è un evidente legame fra queste tendenze e la situazione personale di un uomo che deve cercare a tutti i costi di mantenere il potere politico e di strumentalizzarlo all’imperativo di sfuggire alla resa dei conti giudiziaria per i reati commessi nell’accumulo e nella gestione del suo patrimonio privato. Di qui l’allergia verso il meccanismo dei pesi e contrappesi e pure la subordinazione ai ricatti della Lega Nord sui temi della xenofobia, e anche del micronazionalismo e dell’eurofobia. Da qui il populismo cesaristico che cerca di occultare i veri problemi e l’incapacità di affrontarli.

Gli aspetti negativi, in particolare le tendenze illiberali-autoritarie, del governo Berlusconi sono preoccupanti e il MFE non può non denunciarli. Al riguardo va sottolineato che la scelta di non legarci con una parte dello schieramento politico – si tratta di un aspetto strutturale della linea di autonomia federalista che vede la dicotomia progresso-reazione coincidente con la dicotomia fra chi è favorevole e che è contrario al federalismo sopranazionale – non può significare indifferenza o neutralità quando è in questione la democrazia (che ovviamente deve essere liberale, oltre che sociale, per essere effettiva), cioè la premessa imprescindibile della transizione al federalismo sopranazionale.

Ciò detto, non mi sembra plausibile ravvisare nell’attuale situazione italiana un concreto pericolo che si instauri una dittatura fascista. Non solo non esistono le condizioni storiche, e cioè una situazione di strutturale lotta di potenza fra gli stati europei e una forte arretratezza economico-sociale che hanno reso possibile il fascismo. Ma una simile evoluzione è contraddetta dalle tendenze micronazionaliste di una componente essenziale della coalizione governativa, le quali sono incompatibili con una centralizzazione di tipo fascista.

Piuttosto, la conseguenza più concreta è immediata degli aspetti negativi del governo Berlusconi è un’incapacità strutturale di governare. L’attività governativa è in effetti bloccata dal peso dei problemi personali del premier (compresi quelli relativi ai suoi comportamenti nella vita privata che comportano una forte ricattabilità) che sottraggono tempo e spazi decisivi all’impegno diretto ad affrontare i gravi problemi del paese. D’altro canto, la mancanza di affidabilità democratica di un governo che assomiglia a un sultanato impedisce una coerente e credibile politica sul piano internazionale e, quindi, rispetto all’unificazione europea, che è il terreno strategico su cui si gioca il futuro dell’Italia.

2. Il legame fra la crisi italiana e l’incompiutezza del processo di unificazione europea

Una risposta valida ad una crisi che apre la prospettiva di un tracollo dello stato democratico italiano deve fondarsi su di una visione chiara delle cause di questa crisi. A questo fine il contesto generale da cui non si può prescindere è rappresentato dalle contraddizioni connesse con il carattere incompiuto del processo di unificazione europea.

L’integrazione europea ha dato vita a un sistema istituzionale caratterizzato da importanti aspetti federali, ma anche dalla permanenza dei meccanismi confederali fondati sui veti nazionali in settori fondamentali quali le risorse fiscali, la politica estera e di sicurezza, la difesa, la revisione istituzionale. Il sistema della federazione incompiuta (legato in ultima analisi alla tendenza strutturale degli stati nazionali ad essere allo stesso tempo strumenti e ostacoli rispetto all’unificazione sopranazionale) ha permesso proprio per la presenza degli elementi federali grandi progressi sul piano dello sviluppo economico-sociale e, quindi, su quello della pacificazione e modernizzazione dell’Europa. Nello stesso tempo la persistenza dei limiti confederali comporta gravissimi deficit che rendono questo sistema strutturalmente precario e insostenibile e che pesano duramente sulla vita degli stati nazionali.

– C’è anzitutto un deficit di efficienza

I problemi di fondo sul piano della sicurezza economico-sociale, della sicurezza ecologica, della sicurezza pubblica interna e internazionale, della salvaguardia della libertà dei cittadini hanno dimensioni continentali e, per aspetti decisivi, mondiali, essendo connessi con lo sviluppo di una globalizzazione senza regole e con la presenza di sfide alla stessa sopravvivenza dell’umanità e a cui essa deve dare una risposta comune.

La situazione richiede imperativamente di non più rinviare la piena federalizzazione delle istituzioni europee; e richiede nello stesso tempo che si avvii seriamente la costruzione delle istituzioni globali necessarie per governare la globalizzazione in direzione di uno sviluppo equo e sostenibile e per rendere stabilmente cooperativo e funzionale alla pacificazione dell’umanità il sistema pluripolare emergente. Fra queste due improrogabili esigenze c’è un legame organico dal momento che un’Europa compiutamente federale e, quindi, pienamente capace di agire non solo è indispensabile per la sopravivenza della costruzione europea, ma è altresì chiamata a svolgere un ruolo determinante nella costruzione di un mondo giusto e pacifico.

Se il rinvio del disegno di una federazione compiuta rende impossibili risposte adeguate ai problemi di fondo di fronte a cui si trovano i cittadini, è chiaro che questa situazione condiziona in modo pesantemente negativo tutti gli stati nazionali europei e, in modo particolare, uno stato come quello italiano relativamente più debole rispetto ai partner più avanzati.

Richiamo qui alcuni esempi particolarmente significativi.

– La critica situazione economico-sociale e finanziaria italiana è chiaramente condizionata in modo decisivo dalla mancanza di un governo europeo dell’economia, che presuppone un bilancio federale con reali e adeguate risorse proprie, compresi gli Unionbonds. Un governo economico europeo realizzerebbe in effetti quella politica macroeconomica (investimenti per le infrastrutture europee nelle comunicazioni, energie rinnovabili, ricerca avanzata, sostegno per la riconversione industriale, lotta alla disoccupazione) che gli stati nazionali non sono in grado di attuare, e comporterebbe un più adeguato livello di solidarietà interstatale accompagnato da una capacità ben maggiore di disciplinare le politiche nazionali di bilancio. In mancanza di ciò la classe politica italiana si trova di fronte a compiti schiaccianti che aprono la prospettiva del tracollo.

– La sfida dell’immigrazione si può affrontare in modo valido solo con un impegno unitario e incisivo dell’Unione Europea. Un’UE capace di agire all’interno e sul piano mondiale è indispensabile: per affrontare efficacemente gli squilibri globali economici, ecologici, sul piano della sicurezza che sono all’origine delle migrazioni bibliche; per attuare una unitaria ed efficace politica dell’accoglimento (richieste di asilo, emigrazione fisiologica, diritto di voto) e la lotta contro l’emigrazione clandestina (dando sostegno agli stati più deboli ed esposti, nei quali altrimenti si affermano con forza difficilmente contenibile scelte in contrasto con i diritti umani e comunque tendenti ad esasperare i problemi); per garantire il progresso economico-sociale necessario per rendere disponibili risorse ben maggiori di quelle attuali da dedicare all’integrazione degli immigrati.

– La lotta contro la delinquenza organizzata è un problema secolare dell’Italia e può chiaramente essere condotta con effettivi risultati solo in un quadro di progresso economico-sociale e politico-democratico. L’unificazione europea è la forza trainante di questo progresso, ma per i suoi ritardi e le sue incompletezze è fonte di gravi contraddizioni. Fra queste va sottolineata la libertà di movimento ottenuta dalla delinquenza organizzata con il mercato comune (a cui si aggiunge l’eliminazione di vincoli connessa con la globalizzazione) non accompagnata dalla costruzione di una adeguata capacità sopranazionale di garantire l’ordine pubblico.

– C’è nello stesso tempo un deficit di democrazia

I sistemi democratici nazionali sono inesorabilmente spiazzati dalla dimensione sopranazionale dei problemi di fondo, ma la condizione di federazione incompiuta in cui si trova il processo di integrazione europea ha finora impedito la formazione di un sistema democratico sopranazionale pienamente sviluppato ed efficiente. Per cui il processo democratico gira a vuoto. A livello nazionale, dove la democrazia è, sul piano formale, pienamente spiegata (dal voto dei cittadini nasce il governo), non si possono più compiere scelte di rilevanza strategica. Mentre a livello sopranazionale, oltre all’impossibilità di compiere, a causa dei veti nazionali, scelte adeguate ai problemi sul campo, ciò che comunque viene deciso non ha una base accettabile di legittimità democratica.

Questa situazione, che è alla base della grave crisi di consenso di cui soffre l’integrazione europea, costituisce d’altro canto il fattore fondamentale della crisi della politica e della democrazia che caratterizza in generale i paesi europei e, in modo particolarmente acuto, l’Italia, data la specifica arretratezza del nostro stato nel contesto europeo. Quando nei cittadini si diffonde il senso dell’inutilità della partecipazione politica, dal momento che i meccanismi democratici girano a vuoto, quando non si vedono risposte consistenti alle preoccupazioni vitali dei cittadini, da una parte sono inevitabili rilevanti fenomeni di apatia politica, dall’altra conquistano spazi politici decisivi le tendenze più irrazionali – dal populismo, al micronazionalismo, alla xenofobia – che inquinano la dialettica democratica.

Il chiarire il nesso fra queste tendenze e il contesto più ampio costituito dall’incompiutezza dell’integrazione europea e dal suo rapporto con una globalizzazione senza regole non significa – sia ben chiaro – un atteggiamento giustificatorio, del tipo “comprendere, perdonare”. L’orientamento illiberale-autoritario e populistico di uomo come Berlusconi (e dei suoi accoliti) incapace di emanciparsi dalla difesa con qualsiasi mezzo dei propri interessi privati, così come le tendenze micronazionaliste, secessioniste, e xenofobe della Lega Nord (e il suo potere di ricatto sul governo Berlusconi) rappresentano un fattore di indubbia rilevanza della crisi italiana e configurano responsabilità politiche che vanno denunciate senza mezzi termini. Inquadrare queste responsabilità nel contesto più ampio della federazione europea incompiuta permette d’altro canto di comprendere più in profondità il fatto che Berlusconi e la Lega Nord, con i loro orientamenti distruttivi, hanno un consenso così ampio da condizionare pesantemente la politica italiana. E permette quindi di impostare una linea politico-strategica adeguata per affrontare validamente la crisi italiana.

3. L’impegno sopranazionale e l’impegno nazionale necessari per affrontare la crisi italiana

Se quanto detto finora è plausibile, è evidente che la linea politico-strategica necessaria per affrontare validamente la crisi italiana ha come momento trainante l’impegno per il risoluto e rapido avanzamento verso la federazione europea piena. Il passo avanti immediato è rappresentato dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e dal rafforzamento, che esso rende possibile, delle politiche comuni e, quindi, dall’avvio della costruzione di un governo economico dell’Europa e di una maggiore capacità di azione internazionale. Ma, parallelamente, deve iniziare l’impegno per il processo costituente della federazione europea con quelli che ci stanno (superando cioè il diritto di veto nazionale nella funzione costituente) e che coinvolga i cittadini europei in ogni fase del processo fino al referendum europeo conclusivo. Va sottolineato che il carattere pienamente democratico del processo costituente è un requisito fondamentale della sua efficacia e altresì per superare la crisi di legittimità del processo di integrazione europea, che della crisi generale della politica e della democrazia è una componente essenziale.

L’avanzamento verso il completamento della federazione europea richiede un decisivo impegno da parte italiana, come dimostra tutta la vicenda dell’integrazione europea, in cui le trainanti iniziative franco-tedesche hanno visto il sostegno indispensabile e rafforzativo dell’Italia D’altra parte l’impegno sopranazionale dell’Italia sarà possibile ed efficace solo se sarà integrato da un impegno vigoroso e risolutivo di risanamento interno.

Una maggiore solidarietà europea, necessaria per affrontare la grave situazione economico-sociale del paese, non può essere perseguita in modo credibile ed efficace se l’Italia non fa la sua parte – tramite una lotta senza quartiere contro gli sprechi e i parassitismi di ogni genere – per realizzare la indispensabile solidarietà sociale e interregionale, senza aumentare, ma anzi riducendo il debito pubblico, che è oltretutto un pericolo per la stabilità e funzionalità dell’unione monetaria.

Senza riforme istituzionali che, attraverso un federalismo solidale, la diminuzione dei parlamentari (e più in generale del pletorico personale politico a tutti i livelli), una seria efficientizzazione degli apparati burocratici, rendano il paese più solido e il governo più capace di agire, l’azione italiana sul piano sopranazionale è destinata a rimanere inconsistente.

E infine, senza credibilità democratica e in una situazione in cui c’è il rischio di un isolamento analogo a quanto avvenuto per l’Austria all’epoca del caso Haider, non potranno esserci e comunque nessuno le prenderà sul serio iniziative italiane per un reale avanzamento dell’integrazione europea.

E’ evidente che l’attuazione della linea necessaria per affrontare validamente la crisi italiana ha la sua premessa imprescindibile nel superamento del governo di Berlusconi. L’alternativa a questo governo che sia in grado di guidare il paese nella giusta direzione non può d’altra parte che essere un governo di emergenza. Deve trattarsi di un governo fondato su larghe convergenze provenienti da tutti i settori dello schieramento politico, che permetta di isolare e disinnescare le tendenze illiberali-autoritarie, populiste e micronazionaliste e che sia in grado di compiere le difficilissime scelte necessarie per il risanamento economico-sociale e finanziario le quali sono chiaramente al di fuori del raggio operativo della normale dialettica governo-opposizione.

Questa prospettiva può sembrare fuori dalla realtà, se si guarda staticamente alla situazione dell’attuale governo e in particolare alla maggioranza di cui dispone. Ma non è così se si prende atto con chiarezza delle contraddizioni sempre più insostenibili che minano la tenuta del governo a causa dell’enormità dei problemi del paese e dei problemi personali del premier. In ogni caso è imperativo dire la verità anche se è difficile ed è necessaria una valida linea di resistenza ad un deterioramento politico, che oltre un certo punto può diventare irreversibile.

Un sostegno chiaro e forte a questa linea, che non può non comprendere anche l’indicazione dello schieramento politico che la può portare avanti, è il contributo più importante e concreto che può essere dato alla vita politica italiana in questa fase critica in cui si gioca il futuro del paese.

La parola d’ordine valida dovrebbe essere: Un governo di unità nazionale democratica per un’Italia europea.

Sergio Pistone

Sulle repressioni in Tibet

MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO

SEZIONE DI TRAPANI

MOZIONE DEL COMITATO DIRETTIVO SULLE REPRESSIONI IN TIBET

Il Comitato Direttivo della Sezione di Trapani del Movimento Federalista Europeo, riunitasi in data 9 aprile 2008 nei locali sociali per esaminare gli attuali aspetti dell’azione politica connessa all’integrazione europea e più in generale l’avanzamento dei processi di costruzione della democrazia internazionale;

presa cognizione in particolare della situazione venutasi a creare in Tibet, per effetto della recente repressione violenta dei moti di ribellione alle autorità di Pechino;

ricordando che il popolo tibetano trovasi da circa mezzo secolo privato dai fondamentali diritti della persona umana, quali la libertà di parola e di assemblea, e per conseguenza spinto a scegliere fra l’oppressione di un regime autoritario e l’esilio dalla terra d’origine;

che nonostante le formali assicurazioni da parte della Repubblica cinese, che aveva garantito nel 1950 la piena autonomia del Tibet, con il riconoscimento del suo sistema politico e il pieno rispetto della libertà religiosa, è proseguita nel territorio della Regione la violazione continuata dei diritti umani, con una campagna di pulizia etnica fondata sulla forzata immigrazione di popolazioni di etnia Han, e la repressione violenta dei reati d’opinione mediante l’uso sistematico della tortura e delle innumerevoli condanne a morte;

che tali fatti, che realizzano in sostanza un vero e proprio genocidio culturale come riferito anche dal Dalai Lama, non possono che essere con forza denunziati all’opinione pubblica italiana ed europea, anche allo scopo di non tradire lo spirito dei giochi olimpici che si terranno nei prossimi mesi in Cina;

tutto ciò premesso,

esprime il sostegno dei federalisti europei al popolo tibetano, perché in tutto il mondo la democrazia non resti solo una petizione di principio, ma venga invece attuata con forza e determinazione, seppure con strumenti pacifici e non violenti, per liberare i popoli dalle ricorrenti sopraffazioni dei governi e realizzare nei fatti la piena partecipazione politica dei cittadini alle decisioni che li concernono;

ribadisce tuttavia in tale sede che il conseguimento della democrazia internazionale non ha luogo mediante l’artificiosa nascita di nuovi Stati-Nazioni, o le inefficaci risoluzioni dei pur meritevoli Organismi internazionali a cominciare dall’ONU, ma ponendo le basi per la costruzione di un Governo mondiale parziale, che limiti lo strapotere dei governi nazionali ed avvii la nascita progressiva di un sistema di sicurezza collettiva che sancisca altresì l’indiscussa supremazia dei diritti umani fondamentali in ogni parte della Terra;

individua nel processo di integrazione europea, di là dalle specifiche manifestazioni di solidarietà contro gli episodi di repressione cinese nel Tibet, che peraltro fortemente approva e fa proprie rispetto alle interessate perplessità dei Governi occidentali, la chiave di volta per costruire con la Federazione europea la riforma democratica delle Nazioni Unite e per tal verso un nuovo ordine mondiale rispettoso della giustizia internazionale e dei diritti dei popoli;

fa voti perché a tale principio si ispiri l’ordinaria condotta dei governi europei, rilanciando da subito, dopo il completamento della ratifica del Trattato di Lisbona, il processo costituente dell’Europa unita, per dotare finalmente il nostro continente di un governo democratico ed efficace che possa essere di sprone e di avanzamento della democrazia a livello internazionale.

IL COMITATO DIRETTIVO DELLA SEZIONE DI TRAPANI DEL MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO

CONVENZIONE TRAPANESE DEI GIOVANI…

 CONVENZIONE TRAPANESE DEI GIOVANI

SULL’AVVENIRE DELL’EUROPA

In collaborazione fra l’Amministrazione del Comune di Trapani e la Casa d’Europa “Altiero Spinelli”

Trapani, 29 novembre 2003

DOCUMENTO FINALE

INTRODUZIONE

Tutti dobbiamo preoccuparci del futuro, perché è là che dobbiamo passare il resto della nostra vita.”

Charles F. Kettering

 

Sta ai giovani, che hanno beneficiato dei cinquant’anni di pace assicurati dall’opera dei fondatori dell’Europa unita, portarne a compimento la visione.”

Dal messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi agli italiani 31/12/2002

Noi giovani trapanesi, riuniti nella Convenzione Trapanese dei Giovani sull’Avvenire dell’Europa (Trapani, 29 Novembre 2003), espressione delle diverse associazioni giovanili, degli istituti scolastici presenti nel territorio e di selezioni effettuate a livello locale mediante autocandidature:

– visti i testi definitivi della Convenzione Siciliana dei Giovani;

– avendone accolto l’invito ad organizzare manifestazioni simili in realtà  locali;

– riaffermando la nostra adesione all’idea di una Federazione Europea come progetto politico di pace e democrazia per la nostra e per le future generazioni e come modello di integrazione per il resto del mondo.

Consegniamo a coloro che ci rappresentano all’interno della Conferenza Intergovernativa inaugurata a Roma il 4 Ottobre 2003, le nostre riflessioni sul futuro dell’Europa che sempre più ci appartiene.

GRUPPO DI LAVORO I

I Giovani e l’Europa

Partecipazione, politiche, strumenti

L’Europa del futuro “consapevole del suo patrimonio spirituale e morale” (Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Preambolo) deve essere uno spazio di libertà, democrazia, solidarietà e pace tra i popoli e, per noi giovani, sempre più uno spazio di opportunità, crescita e confronto, agevolando l’interscambio tra realtà associative giovanili dei membri dell’Unione al fine di favorire arricchimento e scambio culturale, basi del confronto.

I giovani chiedono un’Unione forte, che sostenga le democrazie nascenti nelle regioni del mondo, divenendo essa stessa baluardo dei valori di libertà, democrazia e sviluppo sostenibile nell’era della globalizzazione, contro lo spettro della criminalità e del terrorismo internazionale. Un’Unione che si impegni a perseguire scelte che tutelino il futuro delle nuove generazioni, valorizzando in ogni angolo del pianeta il potenziale enorme, in termini di formazione e volontà di cambiamento, delle ultime generazioni e di quelle future, prestando particolare attenzione alle aree meno sviluppate. Un’Europa che riconosca il suo pluralismo e che faccia dell’incontro tra le diverse identità nazionali, culture, tradizioni costituzionali, storie, lingue dei suoi popoli e della loro valorizzazione la sua fonte di ricchezza e la matrice dell’identità europea.

Spetta a noi giovani manifestare l’esigenza che al processo di integrazione politica in corso e alla definizione dei nuovi equilibri istituzionali, si accompagni un processo di integrazione europea delle coscienze, perché il progetto di riforma non rimanga una formula vuota.

Non è sufficiente riconoscere all’art 5 della bozza di trattato costituzionale una doppia cittadinanza dell’Unione, nazionale ed europea, collegando a tale status una serie di diritti e doveri, perché si realizzi automaticamente la presa di coscienza del nostro essere, ad un tempo, italiani ed europei. A tale previsione devono accompagnarsi azioni di promozione di identità europea e cittadinanza attiva. La Carta dei diritti fondamentali è uno strumento essenziale per la costruzione degli europei, accogliamo con favore la proposta della Convenzione di renderla giuridicamente vincolante e di includerla nella nuova Carta Costituzionale europea.

Nasce l’esigenza di predisporre azioni trasversali e concrete per le persone e, in particolar modo per i giovani, di fornire gli strumenti che permettano a tutti di comprendere quale spazio di crescita e opportunità sia l’Europa che si sta costruendo.

E a ciò si unisce l’esigenza di una maggiore considerazione della gioventù nelle politiche che la riguardano da vicino e l’ottimizzazione delle azioni comunitarie esistenti nei campi dell’istruzione, società dell’informazione, cultura, sport, occupazione, integrazione sociale, formazione professionale.

Si auspica la realizzazione di un metodo educativo/formativo unico, accettato da tutti i paesi membri dell’Unione, al fine di garantire un sistema di pari opportunità a tutti i livelli d’istruzione, pur tenendo conto delle esigenze formative che si incrementano naturalmente con l’aumentare delle offerte di un contesto europeo sempre più ampio. Tale modello darebbe, comunque, l’opportunità ai paesi membri di preservare la propria identità culturale (in termini di istruzione e formazione professionale) in un contesto allargato come quello europeo. Il progetto è realizzabile attraverso corsi d’aggiornamento che creerebbero le figure di “docenti europei”, figure chiave necessarie ad instradare gli studenti nelle dinamiche europee, migliorando e incrementando fortemente (con borse di studio, scambi giovanili interculturali, progettazioni varie e mirate) le opportunità offerte dall’UE. Il modello unico garantirebbe: una formazione di base ugualitaria e paritetica; un valore unico ai titoli di studio che spianerebbe la strada alle scelte professionali e alla mobilità all’interno dell’Unione; la possibilità di operare nel campo prescelto senza incorrere in disparità a livello formativo, economico, ecc.; un importante occasione per entrare in contatto con le diverse realtà lavorative europee tramite stage e tirocini. In tal modo i giovani di tutta Europa, accomunati dalla stessa formazione didattica, dovrebbero sentirsi fabbri del proprio futuro, futuro che si chiama Europa.

Le azioni comunitarie nel campo della cultura, dell’istruzione, dell’informazione, della politica sociale, nel rispetto delle competenze nazionali, regionali e locali secondo il principio di sussidiarietà, svolgono un ruolo fondamentale, come fattori di formazione del senso di cittadinanza europea, dell’opinione pubblica europea, innovazione ed empowerment, ossia innalzamento del capitale di competenze professionali.

Si chiede che l’UE istruisca i suoi cittadini sulle tematiche europee usando le vie mass mediologiche; tale sistema permetterebbe di combattere in modo massiccio “l’euroscetticismo” informando la popolazione sui principi costitutivi e le proposte future di un’Unione Europea che tende alla Federazione degli Stati europei. Inoltre, sarebbe auspicabile che nelle scuole venissero attivati corsi di formazione europea che riguardino tematiche quali: cultura, cittadinanza e storia del processo di integrazione europea e del funzionamento delle istituzioni comunitarie, lasciando alle autorità competenti le modalità di inserimento di tale misura nei programmi didattici.

Inoltre, si propone che l’Unione Europea si impegni a utilizzare in tutti i suoi documenti, uffi-ciali e non, un linguaggio diretto e chiaro favorendo la diffusione di essi attraverso mezzi di comunicazione creativi ed innovativi.

Dopo la formazione di un mercato unico e una moneta comune, si devono porre le condizioni per la nascita di un mercato europeo del lavoro al fine di garantire ai cittadini d’Europa le stesse possibilità lavorative, promuovendo così la libera circolazione delle persone nell’UE.

GRUPPO DI LAVORO II

Il futuro dell’Unione

Riforme, istituzioni, politiche

Malgrado il mancato superamento dell’esclusiva dimensione economica dell’Unione, noi giovani trapanesi riteniamo di primaria importanza la creazione di un soggetto politico, nuovo, capace di agire e affermarsi a livello internazionale.

L’Europa è, infatti, la dimensione naturale per affrontare molti problemi comuni.

Tuttavia un’Europa divisa, governata da interessi nazionali, spesso divergenti, non riuscirà ad assicurare la pace, la sicurezza, la solidarietà sociale e lo sviluppo sostenibile dentro e fuori i suoi confini. L’Europa può rappresentare un soggetto unico, forte e rilevante nel panorama mondiale, in grado di proporre eventuali strade alternative per la risoluzione dei numerosi problemi diffusi su scala globale. Gli stati europei possono fare realmente qualcosa solo se uniti in questo nuovo soggetto capace di parlare al mondo con una sola voce. Molti passi sono stati compiuti in questa direzione, si pensi ad esempio alla moneta unica europea, ma molti sono ancora da fare, specie in campo di politica estera, di difesa e di sicurezza sociale.

Fin tanto che il veto di uno solo dei paesi dell’Unione potrà fermare il lavoro degli altri ventiquattro l’Europa non potrà realmente esprimere tutto il suo potenziale politico, economico e diplomatico a livello internazionale ma resterà sempre imbrigliata e incapace di prendere rapidamente una posizione sicura e coesa. Solo un’Europa sottratta al diritto di veto può assicurare ai suoi cittadini diritti di ultima generazione.

Noi giovani riteniamo che un’Europa unita nelle diversità è possibile; l’Unione del futuro, fondata sul principio federalista e pertanto incentrata sulla sussidiarietà sia orizzontale sia verticale. All’UE dovranno competere le decisioni che non possono essere realizzate altrettanto efficacemente a livello nazionale o regionale, tra queste la politica monetaria, la sicurezza e le politiche ambientali, auspicando a tal proposito che si doti l’UE di adeguate risorse proprie.

L’Unione, inoltre, ha bisogno di un sistema decisionale democratico, trasparente e responsabile davanti ai cittadini, fondato sul principio della separazione e bilanciamento dei poteri e su quello della doppia legittimità: comunitaria e nazionale.

Il quadro istituzionale proposto dall’attuale progetto di costituzione comprende, principalmente, il Parlamento europeo, il Consiglio dei Ministri e la Commissione europea.

Il Parlamento europeo, unico organo eletto democraticamente a suffragio diretto, in quanto rappresentanza dei cittadini dell’Unione, dovrebbe operare come organo legislatore con capacità di iniziativa legislativa e di controllo politico nei confronti della Commissione.

Le materie sulle quali il Parlamento vota e legifera dovrebbero essere tutte quelle di competenza Europea, per le quali il livello nazionale o regionale non riesce più a imporre la propria sovranità, inclusa l’adozione del bilancio.

Il Parlamento ha inoltre potere di approvare e sfiduciare, con il suo voto, la composizione della Commissione, gravandosi di scegliere chi poi rappresenterà l’Europa nel complesso mondiale.

In materia si chiede che i partiti europei indichino agli elettori, prima delle elezioni europee del 2004, chi sarà il loro candidato a presiedere la Commissione europea. In tal modo il programma elettorale sarà abbinato alla formazione di un governo europeo per una maggiore trasparenza tra le scelte dei cittadini e la realizzazione delle politiche europee.

Il Consiglio dei Ministri è l’istituzione dell’Unione che rappresenta gli stati membri. Composto da un rappresentante nominato da ciascuno stato, il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento, la funzione legislativa e di bilancio. Il Consiglio, pertanto, dovrebbe rappresentare un’autentica seconda camera legislativa; tutte le decisioni potranno così essere adottate da una doppia maggioranza di Stati e di cittadini. Il diritto di veto, che nega al contempo la democrazia e l’efficienza, dovrebbe scomparire dal sistema decisionale dell’UE lasciando il posto ad un più democratico sistema a maggioranza che permetta quindi un’accelerazione nel cammino verso l’unione politica.

La Commissione è l’istituzione che rappresenta l’interesse generale europeo di tutti gli Stati membri dell’Unione. Essa, secondo il progetto di Costituzione europea dovrà essere composta da un presidente e da altri 13 commissari nominati dal Consiglio e soggetti collettivamente ad un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo. La Commissione, avendo compito di assicurare la programmazione e l’attuazione delle politiche comuni, di aver cura dell’esecuzione del bilancio e di gestire i programmi comunitari, si presta a diventare un vero governo europeo che risponda pienamente di fronte al Parlamento e al Consiglio, ciascuno avente diritto di censura sull’operato della Commissione.

I cittadini dovrebbero eleggere il loro presidente, rappresentante unico dell’Unione nei confronti degli altri stati mondiali.

La Commissione con al suo interno, in qualità di vice presidente (come proposto dal progetto di Costituzione), la nuova figura del ministro degli esteri dell’Unione, potrà così rappresentare l’Europa con una sola voce, realmente rappresentativa dei propri cittadini.

Infine, si nota con favore l’innovazione introdotta, all’art. 46, dal progetto di Costituzione europea che prevede la possibilità di iniziativa legislativa popolare avallata da almeno 1.000.000 di cittadini europei.

GRUPPO DI LAVORO III

L’Europa nel mondo

Pace, responsabilità, diritti

I recenti mutamenti dello scenario internazionale hanno posto in primo piano l’esigenza di ridefinire e rafforzare il ruolo dell’Unione Europea nell’ambito della Comunità Internazionale. L’Europa è, dunque, chiamata a svolgere un ruolo centrale in materia di prevenzione di conflitti e di gestione delle crisi alla luce dell’emergenza globale del terrorismo e della sempre più pressante questione dell’immigrazione clandestina, di fronte alle sfide della globalizzazione e della crescente interdipendenza fra gli Stati. E’ fondamentale che l’Unione Europea dichiari espressamente il rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e s’impegni a risolverle con mezzi pacifici appoggiando, quindi, l’intervento armato con scopo umanitario e come strumento di equilibrio dei rapporti internazionali.

L’azione dell’Unione in ambito internazionale deve dunque fondarsi sui valori etici, culturali e religiosi che hanno ispirato la sua creazione, il suo sviluppo e il suo allargamento nell’ottica di una futura organizzazione federale della Comunità Internazionale che miri alla visione dell’uomo come cittadino del mondo.

L’Unione deve raggiungere i seguenti obiettivi prioritari.

La politica estera europea

Si afferma in maniera preponderante la necessità di controbilanciare lo squilibrio presente nel sistema internazionale. Occorre istituire un sistema di “check and balances” per il riallineamento dei ruoli e dei poteri in seno alla Comunità Internazionale. L’Europa può e deve assumersi tale responsabilità, sviluppando una credibile politica estera e di difesa producendo un’opera di mediazione volta a sanare i conflitti che lacerano il mondo.

L’UE deve concorrere alla stabilità esterna così come è stata capace di costruire quella interna nel corso degli ultimi cinquant’anni. L’Europa deve impegnarsi a risolvere le controversie internazionali per via diplomatica e appoggiare, quindi, l’intervento armato con scopo umanitario e come strumento di equilibrio dei rapporti internazionali.

La politica estera deve quindi diventare materia di competenza dell’Unione europea. Allo scopo di assicurare una maggiore coerenza ed efficacia all’azione collettiva europea è indispensabile che l’UE si esprima in materia di affari esteri con una sola voce dotandosi di un vero e proprio corpo diplomatico europeo. Nello stesso campo è, altresì, essenziale introdurre una semplificazione delle procedure decisionali. In questo senso deve prevedersi un’estensione del voto a maggioranza qualificata.

La difesa europea

L’Europa deve perseguire la pace e la sicurezza attraverso una più efficace politica di preven­zione dei conflitti e di gestione delle crisi internazionali. In tal senso si auspica la costituzione di un esercito europeo e di un servizio civile europeo – alternativo a quello nazionale – che permetta di rafforzare la cittadinanza europea e di portare nelle aree di crisi una testimonianza concreta dei valori di pace, libertà, solidarietà e giustizia sui quali si fonda la Costituzione europea. In merito, non si ritiene sufficiente la proposta avanzata dalla Convenzione di istituire dei Corpi Volontari di Aiuto Umanitario. Infine, per garantire l’indipendenza e l’autonomia della politica estera dell’Unione Europea, si ritiene necessario riconsiderare i rapporti con l’Alleanza Atlantica e con il resto del mondo.

Un nuovo bilancio per la politica estera e difesa europea

Il bilancio della Politica Estera e di Difesa Comune (PESC/PESD) va inoltre innalzato in base alle stesse ambizioni dell’Unione, privilegiando le politiche di cooperazione e di sviluppo. E’ necessario che i Paesi membri concorrano in misura sostanziale ad un adeguamento dello sforzo economico-finanziario comune dotando l’Europa di adeguate risorse proprie. Attualmente, il bilancio PESC ammonta in media a circa 30-40 milioni di euro l’anno (meno dell’1% del bilancio complessivo) e risulta regolarmente insufficiente a finanziare ed attuare le decisioni di politica estera.

L’Unione Europea e le Nazioni Unite

E’ necessario, dunque, che l’Unione europea esprima la propria posizione in seno alle grandi sedi multilaterali, soprattutto nell’ambito delle Nazioni Unite e delle Istituzioni finanziarie internazionali, attraverso un rappresentante unico, nonché si adoperi per un’unica rappresentanza diplomatica (negli Stati extra-comunitari) mediante la figura del “diplomatico europeo L’Ue deve farsi promotrice di una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in senso maggiormente democratico che preveda l’abolizione del diritto di veto dei membri permanenti e l’introduzione di un sistema decisionale a maggioranza qualificata.

L’Unione Europea e l’immigrazione

Tra le priorità dell’Unione europea sul piano internazionale vanno comprese il controllo e la gestione a livello nazionale – alla luce dei protocolli comunitari – dei flussi migratori, con l’istituzione di negoziati bilaterali tra l’Unione e i Paesi di origine di tali flussi, atti a realizzare le politiche migratorie finalizzate ad una reale integrazione sostenibile dei migranti. E’ necessario che siano riconosciuti e tutelati i cosiddetti diritti essenziali anche ai non cittadini. In questa direzione è indispensabile che venga riconosciuto il diritto d’asilo europeo nonché la partecipazione consultiva ai residenti benché non cittadini, prevedendo a tal fine l’istituzione di un apposito commissario.

Le politiche di sviluppo verso Paesi terzi

Occorre dunque un impegno più concreto nel promuovere la giustizia sociale e la solidarietà universale fra i popoli e la tutela dell’ambiente. In questo quadro, l’UE deve mettere in primo piano l’interazione con i Paesi in via di sviluppo, promovendo progetti di cooperazione allo sviluppo, modificando la politica commerciale europea in modo più equo, evitando, dunque, pratiche protezionistiche a scapito dei paesi in via di sviluppo.

La tutela dell’ambiente

Si auspica che la salvaguardia dell’ambiente, inteso quale spazio comune, debba divenire una priorità fondamentale della politica interna ed estera dell’Unione Europea, creando anche una task force operativa capace di fronteggiare rapidamente eccezionali disastri ambientali riducendone l’impatto sul nostro ecosistema. Sarebbe inoltre necessario attuare le disposizioni del protocollo di Kyoto, in modo da tutelare l’ambiente mediante il diritto penale, implementando gli accordi internazionali in materia di responsabilità ambientale. L’UE deve impegnarsi nella salvaguardia biologica dei prodotti alimentari, sostenendo il principio precauzionale in materia di organismi geneticamente modificati (Ogm). E’ altresì opportuno che l’UE ripudi le ricerche e pratiche tendenti alla clonazione di esseri viventi umani e animali, si impegni nello sviluppo delle energie rinnovabili per il raggiungimento dell’indipendenza dal petrolio e promuova l’istituzione e la crescita di istituti di ricerca a livello nazionale e comunitario.

Inoltre, nell’ambito della revisione della politica agricola comune (PAC) in modo equo e non discriminante nei confronti dei paesi extracomunitari (necessaria premessa alla creazione di opportunità di sviluppo concrete per tali paesi), è necessario individuare politiche di valorizzazione delle diverse culture agroalimentari e di tutela dei prodotti tipici. Occorre superare un’impostazione di eccessiva rigidità burocratica che rischi di omologare le specificità locali e nazionali, minando uno degli elementi fondanti delle tradizioni popolari. Inoltre è auspicabile la creazione di un ente europeo di difesa teso a trovare nuovi processi e tecnologie finalizzate alla salvaguardia ambientale.

CONCLUSIONI

Le proposte di questo documento sono il risultato di una discussione che ha coinvolto 63 giovani del trapanese di età compresa tra i 16 ed i 29 anni.

Riteniamo che il dibattito debba estendersi a tutti i livelli della società civile e che debba continuare in seno alle associazioni giovanili e dentro le scuole per diffondere capillarmente le tematiche europee che sempre più interessano da vicino le nostre vite, per contrastare la diffusa disinformazione a riguardo ed in vista delle prossime elezioni europee.

Auspichiamo che questo nostro contributo, insieme agli altri elaborati a livello europeo, nazionale, regionale e locale, venga preso adeguatamente in considerazione dai nostri rappresentanti nella Conferenza Intergovernativa in quanto consideriamo, il contributo delle nuove generazioni, essenziale nel dibattito sul futuro dell’Europa in quanto saranno esse protagoniste del domani.

Alle istituzioni europee e al Governo italiano, presidenza di turno dell’Unione, chiediamo scelte coraggiose oggi, affinché si possa realizzare quell’Europa unita in cui le nuove generazioni vivranno domani.

 

IL CONSULENTE PER L’EUROPA FEDERALE        IL PRESIDENTE DELLA CONVENZIONE

               Giuseppe Giunta                                          Benedetto Tagliavia